Curiosando in giro per il web, sempre in cerca di articoli sulla psicologia, ahimè in inglese, mi sono imbattuta nella sindrome da boreout, della quale non conoscevo l’esistenza.
Ne sono stata felice, perché grazie all’approfondimento che ho fatto su questo tema sono riuscita a dare un pieno significato alla frase
Mi pagano troppo per quello che faccio, troppo poco per quanto mi annoio.
Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi
Una frase pronunciata dal mio personaggio preferito, Benjanin Malaussène, che di mestiere fa il capro espiatorio in un grande magazzino.
La frase mi ha colpita quando l’ho letta e mi si è fissata in memoria. Forse perché la considero veramente sagace.
È difficile parlare di quanto ci si riesca ad annoiare sul posto di lavoro. Anche se sembra che sia un fardello che molte persone sono costrette a portare, una condizione tanto pesante da meritare, secondo l’acuto Malaussène, un indennizzo.
Ma perché si parla di sindrome da noia?
È normale pensare, ad esempio, che chi non ha niente da fare si annoi. È questo?
Forse, in parte, ma temo che sia un pelino più complicato di così.
Il termine “boreout” è stato introdotto nel 2008 da Rothlin and Werder (rispettivamente un project manager e un consulente d’azienda), con il libro “Boreout!: Overcoming Workplace Demotivation”.
Il termine si riferisce ad uno stato emotivo negativo, provato da alcune persone sul posto di lavoro. Questo stato principalmente ha a che fare con un giudizio negativo che la persona attribuisce alle attività che deve svolgere. Che possono essere giudicate noiose, prive di significato o monotone, sicuramente non coinvolgenti o sfidanti, inadeguate alle proprie capacità, insufficienti nel numero.
Questa situazione, se protratta nel tempo, può portare ad una diminuzione dell’interesse per il proprio lavoro, la propria carriera e l’organizzazione di appartenenza. E la diminuzione di interesse può portare ad una progressiva e sempre maggiore mancanza di risorse da investire nel proprio lavoro.
La noia provata sul lavoro sembra non dipendere solo dal tipo di attività da svolgere, comunque giudicata svilente dalla persona, ma anche dal confronto con le attività assegnate ai colleghi. Che potrebbero essere giudicate più importanti o interessanti. In questa situazione è facile che ci si vergogni e che si tenda a non far emergere il problema. E che ci si senta anche colpevoli, credendo di meritare tutto quello che sta succedendo.
Specialmente quando la relazione con i propri superiori, o con i propri pari, non è poi così buona.
La boreout syndrome non è da sottovalutare perché potrebbe causare stati d’ansia, distress (lo stress negativo) e buttare giù il morale e le energie. E potrebbe farci sentire anche arrabbiati, turbati e nervosi.
Come si può evitare questo problema?
Intervenendo a livello organizzativo, con qualche accorgimento:
Ogni singola persona dovrebbe essere considerata per le capacità e la disponibilità che può offrire.
Si dovrebbe riflettere su una più equa distribuzione dei compiti noiosi e ripetitivi, così come delle responsabilità.
Bisognerebbe prevedere una rotazione degli incarichi e dei ruoli.
In poche parole, si dovrebbe pensare a rendere il lavoro e l’ambiente relazionale più vario, rivedendo, in modo critico, il metodo adottato per l’assegnazione dei compiti.
Questi accorgimenti appena elencati sono frutto solo del buon senso, purtroppo non ho trovato studi che supportino nessuna delle soluzioni che ho proposto.
Mentre per la prima parte ho preso come riferimento questo studio:
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2021.697972/full